Oscar Fonti

 

Arcobaleno in Danimarca


Progettare un grande dipinto che debba percorrere - sposare il muro esterno e certi spazi interni di un insieme architettonico già esistente: idea magnifica, ma anche diabolica.

Perchè quando si tratta di un artista come Oscar Fonti non si tratta soltanto di fare dell'architettura un supporto fittizio, ma bensì di organizzare uno spazio dove l'occhio dovrà immergersi, uno spazio letteralmente altro, senza che ciò significhi mascherare l'architettura. Se l’artista deve far "passare" dietro l'architettura iniziale la massa o la realtà della fabbrica, deve prima di tutto imporre le sue proprie leggi personali al supporto che "riceverà" il dipinto (e che dovrà supportarlo). .

Una domanda si pone allora, necessariamente, per evitare una trappola: non ci troviamo forse di fronte a una definizione di decorativo? In questo caso di che cosa sarebbe ornamento l'opera pittorica dell’artista? Di una massa volumetrica, di un luogo relativo all'architettura, di uno spazio di lavoro o di una interrogazione sui luoghi e non luoghi dell'arte? E quale realtà della Tajco porterebbe questo ornamento?

Quando si parla di ornamenti, si sottintende, generalmente, che tutti gli ornamenti sono ornamenti di qualche cosa che è interamente ricoperto dagli ornamenti stessi; ora, il lavoro di Oscar Fonti  non è nell'ordine dell' ornamento.

L'analisi del lavoro che Oscar ha consacrato a questa fabbrica ci mostra che ogni suo passo, ogni suo gesto pitturalizza l'architettura e ciò è ben diverso dalla decorazione, Egli mette in evidenza certe poste fondamentali della pratica artistica, poichè riesce - annichilendo il supporto con trasformazioni furtive - a trascinare colui che vede (vive) questo lavoro in un sistema di esplosioni dei limiti, di voli fantastici tali da farlo "entrare nel dipinto". E partecipare con esso alla liquefazione dei corpi solidi fino a che tutto non abbia più ad interferire se non con una realtà aerea.

Così vediamo con quanta precisione agisce il sistema binario messo in opera da Oscar Fonti allorchè si tratta di trasmutare la significazione del motivo dell'angolo.

Da un lato, gli angoli reali negati: le masse telluriche, i corpi organici che sorgono agli angoli (sporgenti o rientranti) sembra che si debbano estendere ben al di sotto del muro come verticalità frantumate, e uscire dalla terra; queste entità, che hanno struttura morfologica d'ebollizione cosmica dilagante, sono un modo di neutralizzare gli angoli architettonici.

Dall'altra parte, gli angoli pittorici sui piani architettonici: i tubi dipinti si sviluppano a zig-zag in un baleno, e trasferiscono il motivo dell'angolo sulle grandi superfici architettoniche piatte  con-giungendo le due scritte Tajco. Sono lampi di congiunzione e separazione che indicano la dis-giunzione. Un muro dunque che ci rimanda ora ad una base tellurica vegetale, ora al campo celeste, ora allo stridore rettilineo della luce. Come altrove, nell'opera di Oscar Fonti, i raggi luminosi sembrano ri­frangersi contro ostacoli invisibili; qui segnalano, una seconda volta, il mistero dell'angolo perchè non si conoscono, dal di fuori, le ragioni di questo angolo.

La linea spezzata che egli dipinge come saetta sullo spazio intersiderale è forse lo schema ripetuto della pianta della fabbrica ma non lo si saprà mai; ugualmente è mistero incomprensibile lo zig-zag del lampo, come se il gioco di queste linee colorate fosse là ad indicare un superarcobaleno rifrangentesi in radiazione pura; un arcobaleno che urta (ecco la rottura) contro un ostacolo invisibile che lo obbligherebbe a non seguire la sua corsa continua.

L’attenzione portata al sistema degli angoli e alla loro evanescenza  illumina un aspetto paradossale - in apparenza - della poetica di questo  artista: il  rifiuto del principio di esclusione.

Annullare la dimensione ottusa di un muro, smascherare la sua struttura portante, approfondirla o negarla attraverso un camuffamento angolare, oppure sottolinearne un aspetto con lo sbieco di un arco spezzato zigzagante di colore, è ridurre alla ragione un muro insopportabile in modo da non do­versi più urtare con lui; è essenzialmente lasciar coesistere la sua normalità incomprensibile e il gioco del suo recupero (come il pittore lo farebbe di una tela) con ciò che ha potuto svelare.



Annette Malochet 

Paris 1991

Home         Projects          Realizations        Paintings        Biografia        Contatti        Credits